Ci sono delle genesi che sono convulse, dispendiose in termini d'impegno, caratterizzate da lunghi ripensamenti e destrutturazioni continue prima che la vera forma dell'opera possa esprimersi a pieno.

Capita che nel lungo corso della creazione cambino obbiettivi, tecniche, aspirazioni ed espressioni, che ci sia anche dello stagnare limpido e granuloso di pensieri fluidi monocromatici.

Troppo spesso la via la si perde inseguendo discipline del vivere ed i colori della nuova stagione.
Una semplice chiacchiera davanti ad una birra costituisce un punto di svolta e trasforma in nemesi ciò che volevamo fosse essenza.

 
 

 Le possibilità che qualcosa cambi sono sempre dietro l'angolo e non sono da sottovalutare.

Quel che spesso mi salva è che ciò che riesco a veicolare attraverso le mie mani è un concetto che già in nuce ha una sua essenza e non necessita d'altro che di tempo per fermentare.

Aspettare il momento giusto ed allinearmi con quel sentire.

Essere mezzo d'espressione, non mero strumento ma portatore di una storia, non è così complicato come può sembrare anche se necessita di qualcosa che spesso oggigiorno manca: tempo.

 La suddivisione del tempo emotivo non segue la linearità delle evoluzioni e rivoluzioni. In un certo senso, la governa.

La misura si fonde con il movimento e quel che appare è una semplice complessità di divenire che sfugge alla disattenzione dell'orologio.

Essere emozione.

Oltre la dissonanza dello stringersi in piccoli spazi temporali, fluire scivolando sulla sensazione che ci sfiora delicatamente è forse la miglior forma di esistenza che possiamo concederci.

 
   Così, senza tentare un inutile ritorno a vecchi ricordi, cavalcare nuovamente quella sensazione, accresciuta delle esperienze frattanto sperimentate, rimodella il gesto nell'atto di compiersi fermando l'istantanea della sensazione.
 Poi fermarsi e riflettere.  
   Cercare nuove prospettive di uno spazio ch'è passato per conoscere meglio sè stessi ed il proprio cammino.
 Fissare da lontano ogni dettaglio, sì che si componga un frattale dal quale emergere e riconoscersi.  
   Sferzate di vento lungo ciò che non ci appartiene più perché cristallizzato ed inamovibile.
Dichiararsi altro da sè, diverso perché non fisso ma non spergiuro nel disconoscere le proprie orme.
   
Fermarsi nel silenzio e riconoscere quel suono continuo e lontano che non ricordi neanche da quando ti accompagna
   
primi sui motori con e-max

 Quando hai dei pezzi di legno di cui non sai che fartene, aspetta prima di gettarli nel camino...

 

Una gran fortuna che questo gennaio non sia stato eccessivamente freddo e che non abbia dovuto dar fondo a quelli che son solitamente considerati "scarti di lavorazione".
In vero, questi sono già troppo spesso miei ottimi compagni di lavorazioni.
Il pezzo giusto porta con sé la giusta storia come corredo emotivo.
E quest'ultima creazione non è stata da meno.

 Come ogni buona storia, si dovrebbe cominciare con un "c'era una volta"... ed avendo dovuto aspettar tanto per raccontarla, sarebbe giusto che davvero cominciassi in questo modo.

Voglio però solo raccogliere le idee residue per poter chiudere questa frase lasciata in sospensione dalla fine di febbraio.
L'inizio di quest'anno è stato caratterizzato da collaborazioni e piccoli complementi.
Questo è un mio personalissimo tocco, regalato ad una produzione teatrale per un costume di scena.

 Tagli, linee e particolari sono stati immaginati come sempre, lungo riflessi del reale e necessarie immersioni in laboratorio.
Morbidezze, riflessi e continue rotture delle linee son stati gli indicatori della profondità raggiunta dalla realizzazione.
Ogni passaggio doveva sapere d'essere quello decisivo. Arrivare ad un punto, assestare le linee, rendere le morbidezze... poi dar giù quel colpo netto che rimetteva tutto in gioco.

Accorcia, taglia, assottiglia, scava più a fondo.

Son stato più volte sul punto di chiedermi se questo piccolo pezzo di pino avrebbe retto il prossimo impatto.
La figura non voleva prendere la sua immagine definitiva.

Quando decidi di optare per un rilassante lavoretto che possa esser per te distrattivo, qualcosa di non impegnativo e che sei sicuro non richieda più di un pomeriggio di lavoro (compresa l'asciugatura della finitura), quando sei sicuro che sei solo in uno di quei momenti che per te sono di allenamento, per tenere le mani ancora a contatto con il legno mentre aspetti che quel lavoro che ti solletica la parte espressiva si faccia vivo...
Proprio allora ti capita una sfida che ti terrà inchiodato per oltre un giorno e mezzo, solo perché quei dettagli non ti convincono.

Perché insistere, allora?
Perché continuare imperterriti a rifinire un pezzo che nullaltro è che un dettaglio su di una scena?

Solo perché la differenza è fatta di dettagli.

 Poteva essere un lavoro di 5 minuti, doveva esser qualcosa che non impegnasse troppo e che fosse a corredo di un'altra opera.

Non potevo però consegnarlo senza sentire di avergli dato una forma che fosse solo sua.

primi sui motori con e-max

 

Quando passi tanto tempo senza metter mano ad un disegno, le immagini si accumulano e cercano una loro via d'uscita dal groviglio di riflessioni e progettualità.

 

Da novembre ho un piccolo taccuino sempre con me. Di tanto in tanto vi riverso pensieri.
Sono strane formazioni di grafite e cellulosa che ricordano i primi tentativi d'impressionare lastre di cloruro d'argento.
Appunti di linee da riprendere o esercizi di scioglimenti del pensiero che fluiscono lungo le dita, fino a toccare la carta che li sta aspettando.

Allo stesso modo, in alcuni di essi è lo spazio vuoto il vero tratto da ricercare e studiare. 
Confinare sfumature di bianco in intricati giochi di rincorsa che ne diano prospettive inaspettate e raccontino meglio del loro antagonista la dinamica creativa che sottende l'atto illustrativo. 
Intrinsecamente il sublimare l'assenza.
Giocare, osservare, narrare la favola della buonanotte ad una espressività che cela sé stessa in una abbraccio sospeso tra attese e speranze.
Riaccompagnare oltre l'osservabile chi sbircia in un cantuccio ciò che gli occhi non sano di vedere, lasciando che un ricordo assopito dentro di sé sbadigli distratto nel riconoscersi un queste linee, o in questi vuoti.

Osservare e dimenticare.
Lasciare dentro di sé solo la traccia di ciò che si è voluto scorgere, girare una pagina sapendo di aver dato forma ad un'impronta e respirare aria nuova.

Aspettare la prossima sensazione ed il tempo che le necessiterà per attraversare lo spazio tra me ed il prossimo foglio.

 


Tratti liberi seguendo la matita

L'attesa scafatese

Nudo di donna

Trova il pesciolino
Il fagiano che mi osserva dalla serratura 
Se sboccia un fiore, prima dell'alba
primi sui motori con e-max

 

 

 

Possono passare mesi, senza che scenda in laboratorio.

 

Possono passare giorni in cui faccia da spola tra il laboratorio ed un qualsiasi luogo esterno in cui dimoreranno le mie opere.

Possono passare giorni in cui alterno quiescenze distratte a frenesie legnose.

 
   Non sempre dipende dalla mia voglia di metter mano ad un lavoro. L'interfacciarmi con possibilità e necessità altrui, sopratutto quando la sede dei miei lavori non è il mio laboratorio, è essenziale per poter portare avanti un discorso che non sia un monologo autoerotico.
 

 

Poi ci sono le impellenze della vita quotidiana ed i fattori autoindotti cui non voglio rinunciare.

 
 Il mix di questi elementi, in questo ultimo periodo, mi hanno dato la scusa sufficiente per distrarmi dal sito e dalle mie tele.
Adesso di sicuro non ho intenzione di fare un mega-sunto-riparatorio, il che sarebbe anche irriverente nei riguardi dei singoli lavori, ma il lasciar traccia di un tempo in modo che questo atto possa essere una catarsi e monito verso di me e verso quella parte d'espressione che guida le mie mani durante i processi creativi.
Rendere un minimo di giustizia a quel flusso creativo che percorre da sinapsi a sinapsi, da muscolo a muscolo, vena a vena fino a toccare ogni mio tessuto prima d'incontrarsi con la storia che racconta il legno che ho incontrato.
 
 

 Che alla fine tutte queste foto non siano che dei "lavori in corso" è anche voluto.
Lo è anche l'incompletezza della narrazione.

Un periodo di assestamento prevede forzosamente il protrarsi di incompiutezze. Te ne accorgi quando non riesci a lavorare con i tuoi strumenti e cominci a "guastare" una tavola dietro l'altra e decidi ch'è il momento di fermarsi...

...ed alla fine ti accorgi che quel che hai scritto è un semplice elogio dell'inattività oziosa.


Ti alzi, fai un giro, assapori l'aria.
Chiudendo gli occhi guardi il cielo.

Spegni tutto e prendi in mano l'agenda per fissare un paio di appuntamenti per finire i lavori e ritagliarti del tempo terminare gl'insospesi nel laboratorio.

Sorridi.

   
primi sui motori con e-max



 Ho un numero di telefono che uso solo per motivi lavorativi.
E' sul mio biglietto da visita, è sulla pagina facebook ed ho anche attivato whatsapp e telegram.
Capita che, per lavoro, qualche conoscente dia invece il mio numero privato per contattarmi. Ovviamente questo non mi mette di buon umore e non favorisce un lieto lavoro.
 Capita, invece, che riceva un sms sul numero privato che mi parli di lavoro ma che non mi faccia questo strano effetto.
Questo perché capita che mi contatti per lavoro sul mio numero privato una persona a cui non ho dato il mio numero di lavoro.

Qualche breve scambio, un paio di mail per la bozza, misure e qualche chiarimento.

Poi un po' di attesa.

Nel mio lavoro tendo ad essere concentrato. Difficilmente affronto più lavori contemporaneamente. Troppo spesso ognuno di questi richiede un'attenzione particolare e dedizione.
Prendo del tempo anche per chiarirmi le idee, assimilare il progetto e sentire ch'è il momento di affrontarlo.

 

La difficoltà, questa volta, non era tanto l'oggetto in sé, in quanto spudoratamente ispirato ad un arredo d'ufficio in voga fino alla fine degl'anni '80, ma per le dimensioni e la destinazione d'uso.

Non potevo semplicemente riadattare e dimensionare all'uopo.

Immaginare un oggetto nella sua funzione spesso significa rinunciare ad una serie di particolarità a cui avevi pensato. Cambiare ed adattare intere parti per rendere più fruibile il tutto ed evitare intralci o cedimenti strutturali.
Per mia fortuna non vivo la scissione utile/estetico. 
Un oggetto è sempre immerso nel suo ambiente e nello stesso occupa il suo spazio esaurendo la funzione senza romperne la continuità visiva.

   
 Non è un lavoro difficile. Trovo sia molto più difficile immaginare oggetti avulsi dal proprio habitat o studiati per vivere un solo tipo di incastri o componibilità.
Allo stesso modo, una qualsiasi realizzazione che non abbia presente quale posizione andrà ad occupare non potrà facilmente trovare un posto che non sia un compromesso.
 
 

L'uso di materiali e tecniche differenti, colorazioni o protettivi come lo stesso grado di finitura dell'oggetto rispecchiano questa specifica scelta.

Molto spesso anche la scelta del materiale rispecchia una specifica volontà di mantenere una linea guida.

Quando parlo di "scelta del materiale" intendo che non mi limito solo a scegliere il tipo di legno, in base al colore, resistenza, lavorabilità... ogni pezzo che ho con me ha alle spalle una propria storia.
Non sono solito comprare legna da lavorare anche se, nel caso usassi del multistrato o del lamellare, questo risulterebbe alquanto difficile. Tal volta mi trovo a rinnovare oggetti preesistenti ma son comunque materiali ed arredi per lavorazioni particolari, come scenografie o strutture, che necessita perdano la propria storia per diventare"nuovi" e rivivere sé stessi.

In questo caso, si trattava di metter insieme due storie lontane tra loro nello spazio e nel tempo.
Una nuova direzione di una storia personale che ha in sé il ricordo della storia del proprio mondo.
Reinventare la tradizionalità del gesto lasciandola passare per ricordi familiari più vicini ma che riescano a staccarsi dal proprio vissuto. Lasciare una traccia e non una memoria.

Il forno di campagna, la scrivania dell'ufficio, una borghesia di città ed una reinvenzione bucolica. Una direzione data da una linea di sangue non così lontana come lo spazio spesso ha illuso fosse.
Linee guida che anche questo pezzo di legno ha attraversato, pur facendolo a molti chilometri  di distanza.
Questo li unisce e questo li riassume.

 
   

  Puoi immaginare, cercare di ricreare la storia o sentirne una filologia.

Puoi incidere a fuoco i segni o modellarne le forme.

Alla fine tutto si conclude solo quando l'oggetto prende il suo giusto posto nel mondo, attuandone così la sua funzione.
E' il momento in cui si rivela. Solo allora puoi capire se hai fatto un buon lavoro.

  
primi sui motori con e-max